Segnali di guerra: un’Europa divisa tra memoria e futuro

Questo comunicato è ispirato dagli ultimi fatti di geopolitica internazionale e da una profonda riflessione nata all’interno del Movimento Giovanile. Desideriamo condividere il nostro pensiero, oltre che le nostre preoccupazioni, per un contesto storico contraddistinto da un clima di terrore. Continue campagne di denigrazione di popoli, il ritorno di politiche nazionaliste, parate militari e ingenti sforzi nell’aumentare la spesa in armamenti, si presentano a noi come un’esatta descrizione dei momenti antecedenti lo scoppio della Grande Guerra nel 1914. Eppure questo è quanto stiamo vivendo proprio oggi. Nonostante oggi non assistiamo alla preparazione di trincee in tutta Europa, si notano alcuni segnali – lo sconfinamento di aerei militari e droni russi nello spazio aereo NATO, le manovre militari condotte da Mosca simulando scenari di conflitto nucleare, l’immane situazione che il popolo palestinese vive quotidianamente e da una sfrenata corsa agli armamenti alimentata da una paura d’un ipotetico invasore – che rimandano la memoria a quei momenti terribili in cui l’Europa intera sprofondò nel caos per anni. Sembra che ciò che i nostri nonni o bisnonni hanno imparato a caro prezzo nella prima metà del Novecento sia stato dimenticato. Le due guerre mondiali appaiono ad alcuni un lontano ricordo ormai. E così anche le statistiche sui libri di storia: oltre 20 milioni di morti nella prima e più di 60 nella seconda. I memoriali che ancora oggi dominano il nostro continente non ci fanno più alcun effetto, eppure portano incisi nomi e volti di giovani che non hanno avuto la possibilità di tornare a casa, di invecchiare, di costruire famiglie e sogni. Compito di questo comunicato è anche un appello alla memoria. È nostro dovere evitare che gli stessi errori vengano ripetuti. Noi giovani non vogliamo che tutto questo venga dimenticato. Ci avete insegnato che vivere in pace è possibile, che le differenze arricchiscono e non dividono, che la diplomazia e la politica possono avvicinare i popoli invece di separarli, che la storia deve essere ricordata affinché i suoi orrori non vengano ripetuti. Eppure oggi sembra che tutto questo sia stato messo da parte. Dai dibattiti pubblici da parte di chi fa politica, e in qualche caso anche dai media, emerge un linguaggio che naturalizza la paura e la contrapposizione. Il messaggio che sembra già trapelare attraverso i notiziari è inquietante: “È guerra!”. Ma nessun popolo la vuole. E proprio noi giovani ci poniamo una domanda semplice e terribile: se mai dovrà esserci un conflitto, chi sarà chiamato a combatterlo? Noi. Chiamati ad andare al fronte, a uccidere o essere uccisi da ragazzi e ragazze della nostra età, figli di nazioni diverse ma con lo stesso diritto alla vita e al futuro. La diplomazia deve tornare al centro dell’agenda politica internazionale, così come l’impegno all’interno delle Organizzazioni nate dalle ceneri delle due guerre mondiali. Nessuna retorica bellicista potrà mai sostituire la sicurezza che nasce dalla cooperazione internazionale e dal rispetto reciproco. Ma vogliamo anche guardare oltre: perché non concentrare le energie e gli investimenti economici che oggi vengono spesi in armi e strategie militari nella ricerca scientifica, nell’esplorazione dello spazio, nella medicina, nelle nuove tecnologie che possono salvare vite e migliorare la qualità della vita? Perché non spingere l’umanità oltre i propri limiti verso nuove conquiste di conoscenza e progresso, invece di costringerla a ripercorrere gli stessi errori del passato? Per invidia, per il potere, per i soldi, per il territorio, per la supremazia di un popolo sugli altri? No, non ci stiamo. Pensare che il destino delle nuove generazioni possa essere deciso da logiche di potere e dalla volontà di pochi è inaccettabile. Non vogliamo che i giovani di oggi siano chiamati a combattere i propri coetanei. La nostra generazione non baratterà un futuro di pace, dignità e progresso. Non vogliamo essere un’altra “generazione perduta”. Come GDC ma ancor più come europei – figli e nipoti di chi quelle guerre le ha vissute o combattute e di chi poi con resilienza ha sognato un’Unione di Stati europei – vogliamo, e dobbiamo, affermarlo chiaramente: non serve un’altra guerra per costruire i cosiddetti Stati Uniti d’Europa. Vogliamo un’Europa unita per offrire al mondo un esempio concreto di pace, giustizia e solidarietà. Vogliamo sostenere ogni iniziativa che promuova la pace, il dialogo e l’educazione alla memoria. La nostra Repubblica, con la sua tradizione di neutralità e apertura, ricorda al mondo che anche le realtà più piccole possono contribuire a costruire ponti e a spegnere i focolai di conflitto, ma ci vuole impegno e coerenza. Scegliere l’integrazione anziché la divisione, la cooperazione anziché lo scontro. Questo è il concetto di Europa che abbiamo in mente e che anche i suoi Padri Fondatori hanno avuto alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Questa è la vera sfida del nostro tempo e della nostra generazione.

C.s. – Ufficio Stampa GDC